Ultimamente sta andando molto di moda su internet un genere chiamato "personal story", dove molti professionisti raccontano come hanno iniziato la loro attività lavorativa e se tale scelta è stata o non è stata volontaria. Ora tocca a me svelarvi qualche segreto dei miei primi passi nel settore in cui opero. Vi avverto però fin da subito che il testo sarà abbastanza lungo, quindi sta a voi a decidere se continuare la lettura.
Per quelli che mi conoscono poco, ricordo che i tipi di attività che svolgo sono interpretariato (tra le lingue russo, italiano e inglese), glottodidattica e speakeraggio. Come capita ad ogni professionista che lavora totalmente in proprio, ci sono sempre alti e bassi, il concetto di stagionalità non è da sottovalutare, ma la cosa che mi è sempre piaciuta di più, è che il lavoro che faccio mi sostiene non solo materialmente ma anche moralmente, è proprio quello che volevo fare sin da quando ero piccola. Come dice un mio collega russo: "puntando ad ottenere dei risultati non dimentichiamoci di trarre anche soddisfazione dal processo stesso!"
Ora vi racconto un po' come mai mi è capitato di scegliere una professione legata alle lingue straniere, ai suoni, alle diverse parlate, che cosa mi aiutava o anzi mi creava degli ostacoli.
Facendo un passo indietro a qualche decennio fa, mi è sempre stato facile comunicare ed andare d'accordo con bambini di lingue e culture diverse, li capivo al volo. A volte mi domandavo se avevo più amici russi o stranieri. Avevo un'amica d'infanzia, si chiamava Inna, molto spesso ci divertivamo insieme a casa nostra a scimmiottare le diverse parlate, imitavamo gli accenti dei nostri amici stranieri e il loro modo di parlare e gesticolare. Ogni tanto queste "parodie" facevano piangere gli altri, per essere poi rimproverata dai genitori. Io stessa però non capivo il motivo di tali rimproveri: erano così corrette le mie parodie! All'epoca avevo solo 6 anni.
Gli anni della prima infanzia difficilmente li definirei come un periodo sereno. I miei genitori erano spesso in conflitto fra di loro, avevano su tutto dei punti di vista diametralmente opposti che cercavano di argomentare con tanto ardore. Una delle poche cose che li accomunava erano i loro gusti musicali. Negli anni Ottanta, se ricordate, vi fu un cosiddetto "boom sanremese", le canzoni italiane si potevano sentire ovunque. Mio padre aveva una vasta collezione musicale che contava più di 500 nastri a bobine. Io ascoltavo quei brani ogni giorno (non solo in italiano ma anche in altre lingue) e mi domandavo perché a volte riuscivo a visualizzare un’"immagine" dell’argomento trattato in una delle canzoni e a volte no, come mai a volte ripetevo una riga con facilità e a volte non mi veniva.
Nel 1987 mio padre acquistò un paio di grandi cuffie professionali di pelle e un buon microfono. Una o due volte al mese mi chiedeva di recitare al microfono una fiaba, una poesia o una filastrocca. Inizialmente non mi lasciavo convincere subito, ma nel momento stesso della registrazione avveniva una "magia": si radunava tutta la famiglia compresi i nonni, regnava un'inspiegabile armonia in casa, e mamma e papà che poco prima discutevano di qualcosa con tanto ardore, mi ascoltavano senza fiato con tanta ammirazione mentre recitavo al microfono una poesia o una filastrocca. Con il passare degli anni ho trovato quelle vecchie registrazioni e sorprendentemente tra numerose poesie, favole e filastrocche c'era una canzone in italiano nella quale quasi tutte le parole erano facilmente riconoscibili.
All'inizio degli anni Novanta i miei genitori decisero di divorziare, e poco dopo da un bell'appartamento spazioso e ristrutturato io e mia mamma traslocammo in un piccolo monolocale trasandato. Quei tempi erano difficili, i mezzi di sostentamento ci bastavano giusto per mangiare e coprire le spese minime di casa. L'adattamento alle nuove condizioni di vita non era facile e mia madre decise di non mandarmi subito alla prima elementare e di regalarmi un "anno di riposo" per farmi riprendere da un forte stress legato al divorzio dei miei genitori e al trasloco. La mattina prestissimo mentre dormivo mia madre andava a lavorare e quando mi svegliavo, se non c'era in casa, cominciavo a piangere. L'unica consolazione erano i numerosi LP con fiabe musicali, li ascoltavo tutti i giorni, molti li ricordo ancora a memoria. Con il passare dei mesi ero già quasi abituata al nuovo appartamento e non vedevo l'ora che iniziasse la scuola. Una volta chiesi ad una amica che frequentava la prima elementare di farmi vedere cosa si studiava a scuola, e quando vidi quei libri di testo, esclamai: "mah! Quanto è semplice! Che facilità! Lo so già tutto!" Per non farmi annoiare alla prima elementare mia madre andò dalla dirigente scolastica della mia prima scuola e chiese se fosse possibile farmi iscrivere subito alla seconda elementare saltando la prima, dato che sapevo già leggere, scrivere e contare. La mamma tornò a casa con un borsone pieno di materiali didattici e mi disse che avevo 4 mesi a disposizione per prepararmi ad un colloquio-esame. Passati i 4 mesi, a fine agosto 1991, al colloquio oltre a me c'erano anche altri bambini che si ritenevano dei "piccoli geni", ma solo io e Dmitrij mio vicino di casa superammo tale prova e fummo ammessi alla seconda elementare.
La scuola mi piaceva, tutto però mi sembrava molto semplice, avevo bisogno di qualcosa in più. Qualche mese dopo mia madre seppe da una collega che c'era un corso specializzato d'Inglese per bambini presso la Scuola Americana di Samantha Smith. Il corso costava parecchio, ma vista la mia motivazione la direttrice del corso ci venne incontro concedendoci lo sconto del 50%. I miei compagni del corso avevano iniziato gli studi a settembre, io invece li raggiunsi a fine gennaio. Le lezioni si tenevano esclusivamente in inglese, avevamo un’insegnante di madrelingua russa, Ljudmila, e altri 2 americani Sam e Christian. Al momento dell'iscrizione io conoscevo soltanto l'alfabeto, qualche regola di pronuncia e giusto qualche vocabolo che poco tempo prima mio padre mi aveva insegnato al telefono. Quelle prime lezioni d'Inglese, anche se sono già passati molti anni, le ricordo benissimo, come se fosse ieri: ascoltavo tutti con attenzione cercando di capire il significato di esclamazioni come "All together!", "allright!" "Let's say it again" e altre frasi che si ripetevano in continuazione. Ad ogni lezione recitavamo tante poesie, cantavamo varie canzoncine per bambini, disegnavamo tanti oggetti prima di imparare come si chiamavano in inglese. Verso la quarta o quinta lezione sorprendentemente ero diventata la più brava del corso e i nostri insegnanti americani per premiarmi mi regalarono un piccolo cagnolino di peluche. Si cercava in tutti i modi di tenere alta la motivazione dei corsisti, avevano promesso di portarci in America per un viaggio alla fine del corso, e anche se le promesse non vennero mantenute, gli fummo infinitamente grati. Dopo una vacanza estiva di 3 mesi tornai alla "Samantha", stranamente ero l'unica persona che non avesse dimenticato niente durante una pausa così lunga. Poco dopo avvennero molti cambiamenti, gli sconti non c'erano più, il corso costava allora quasi il triplo e non potevo studiare più. All'inizio continuavo a studiare da sola in casa, leggevo fiabe in inglese, sfogliavo riviste di moda cercando di capire cosa c'era scritto, poi per qualche anno mi dedicai ad altri hobby.
Le lezioni d'Inglese alla Scuola Media non mi entusiasmavano molto, spesso le saltavo pure. Passavano gli anni, diventavo più grande, e arrivò la fase dei primi innamoramenti. Molte compagne di scuola tenevano dei diari dove disegnavano dei cuoricini e fiorellini e scrivevano dediche d'amore ai compagni di classe. Io non mi potevo permettere un tale "lusso" altrimenti tutto sarebbe diventato un "atto pubblico"! All'epoca molti parenti vicini e lontani venivano a casa nostra quasi ogni settimana, tutto ciò che mi apperteneva era a disposizione di tutti! Avevo bisogno di un angolo tutto per me. Non si poteva proprio nascondere niente! La situazione mi stressava parecchio ma non potevo fare nulla perché quelle persone avevano aiutato molto mia madre quando non c'ero ancora. E fu proprio lì che le lingue straniere mi vennero in aiuto. Fu la mia occasione per “criptare” i miei pensieri, esprimere su carta o attraverso un messaggio audio le cose che solo io potevo capire. Pensavo pure di inventare una lingua tutta mia comprensibile solo a me affinché gli altri non potessero capire le mie emozioni e preoccupazioni di allora. A 12 anni mi sentivo già "adulta" per ascoltare le fiabe musicali e convinsi mio padre a regalarmi un mangianastri a 2 cassette. Ero talmente persuasiva che il regalo me lo fece ben 2 mesi prima del giorno del mio compleanno. Visto che ero già "adulta", avevo bisogno di ascoltare la musica per adulti. Tutti i risparmi che avevo li spendevo in cassette nuove, tra i cantanti figuravano pure alcuni nomi italiani, quelle voci mi mettevano di buon umore, emotivamente mi riportavano indietro al periodo in cui tutto andava bene, in cui regnava l'armonia menzionata prima.
Una volta nel 1996 per caso ascoltai alla radio una canzone italiana che mi piacque subito e decisi di registrarla. Così conobbi una trasmissione intitolata "Ciao Italia!" che andava in onda ogni sabato sera. Trasmettevano vari successi della musica italiana pop sia di cantanti famosi che di esordienti. A volte le trasmissioni erano dedicate ad un cantante o un gruppo musicale, a volte erano canzoni su richiesta, si poteva telefonare in diretta alla radio e richiedere un brano. Ogni sabato sera per 4 anni rimanevo praticamente incollata alla radio, mi capitò parecchie volte di richiedere varie canzoni in diretta. Ora mi viene da ridere, ma una volta per non saltare la trasmissione rinunciai ad un incontro con un ragazzo che mi piaceva (lui ci rimase male e in quel momento la nostra amicizia finì). In quel programma le frasi russe si alternavano con quelle italiane, molte cose si capivano intuitivamente e in uno di quei giorni decisi di studiare l'italiano seriamente.
Quando si è adolescenti non si riflette molto, dalle idee si passa subito ad azioni concrete. Senza poter aspettare che iniziasse il weekend, raccolsi tutti i miei risparmi e senza dire niente a nessuno saltai 2 lezioni di geometria e andai in una libreria in un'altra parte di Mosca per comprarmi manuali di lingua italiana. All'inizio trascorrevo molto tempo davanti ai miei nuovi acquisti ma dopo a scuola non andavo molto bene e per forza dovetti rimandare il mio hobby ad altri momenti. Adesso quel periodo me lo ricordo con un sorriso, ma all'epoca molti amici e i loro genitori mi consigliavano di scegliere un altro hobby, visto che "la lingua italiana non serviva a nessuno". Erano già stati mille volte in Italia, e con l'inglese se la cavavano benissimo. Molti di loro mi stuzzicavano: a che serve conoscere tante parole e non sapere a chi rivolgerle? Non sarebbe meglio conoscerne 5-10, fare un viaggio in Italia, assaggiare la vera pizza, tiramisù o un gelato con una brioche?! Allora non avevo l'opportunità di fare un viaggio del genere, ma nonostante tutti i "consigli della brava gente" continuavo a coltivare il mio hobby.
All'inizio del 1998 a mia madre fu diagnosticato un tumore. Tutte le energie erano concentrare per sconfiggere la malattia, non si parlava di altro. In estate fu operata: le prime tre settimane dopo l'intervento di giorno stavo con mia madre in ospedale tirandola su di morale, di sera tornavo a casa e per distrarmi un po' ascoltavo gli stessi brani musicali che mi mettevano di buon umore. Gli anni successivi erano legati alla riabilitazione, la mamma non poteva più lavorare, l'unico reddito familiare erano gli alimenti che ci versava mio padre e una pensione di invalidità. I viaggi d'istruzione per esercitare la lingua parlata non li potevo neanche sognare, quegli anni comprare nuovi capi di abbigliamento per noi era qualcosa di eccezionale. Grazie a Dio, potevo cambiare spesso vestiti da indossare a scuola, ogni mese le mie cugine mi portavano qualcosa dal loro guardaroba.
Un anno dopo, per puro caso mia madre scoprì da una vicina di casa che c'era un liceo statale specializzato in medicina e filosofia dove insegnano i migliori professori del MGU (Università Statale Lomonosov di Mosca) e quasi tutti gli studenti di quel liceo superavano gli esami di ammissione e vincevano le borse di studio per l’MGU. Il giorno dopo io e mia mamma andammo al liceo, ma scoprimmo che le iscrizioni per l’anno seguente erano già state chiuse da un mese. La direttrice del liceo mi osservava in modo particolare, probabilmente aveva intuito che ero in qualche modo la sua "collega", oltre ad avere un ruolo amministrativo insegnava anche l'inglese. Mi diede un lungo test da fare per tutte le materie, lo superai anche se i risultati di biologia e chimica erano nella media.
Gli anni trascorsi al liceo furono molto intensi, conobbi molte persone che ancora oggi frequento, c'erano molte materie interessanti. Sono stata fortunata ad avere un'insegnante d'Inglese, lo chiamavamo Winnie Pooh, ogni lezione assomigliava ad un mini-spettacolo teatrale, era talmente alto il coinvolgimento emotivo che saltare una lezione sembrava assurdo. L'unica cosa che mi faceva preoccupare all'epoca era che per motivi economici non potevo frequentare corsi di preparazione o trovare un insegnante privato che mi aiutasse a prepararmi agli esami di ammissione. Ogni giorno al liceo non si parlava d'altro: e tu hai già scelto la professione che farai? Hai scelto l'istituto? Quale? Statale o privato? Quando scoprivano che non frequentavo nessun corso mi consigliavano di diventare più responsabile e trovare una soluzione il prima possibile. C'erano insegnanti del liceo che mi volevano aiutare a inscrivermi alle facoltà di sociologia, storia, culturologia. Gli ero molto grata ma non potevo immaginare come fossi riuscita a dedicare come minimo 5 anni alle cose che non mi interessavano molto.
Un giorno un'ex compagna di liceo mi telefonò e mi chiese di farle compagnia alla Giornata delle Porte Aperte al MGU. Dopo aver ascoltato la presentazione del rettore, capii subito che non sarebbe stato semplice superare tutte le prove, ma che sicuramente sarebbe valsa la pena provare... Lo stesso mese conobbi molti insegnanti del MGU alle varie facoltà di scienze umane, molti piani di studio sembravano allettanti, ma la facoltà di Lingue Straniere e Studi Regionali mi attraeva di più. Mancavano pochi mesi al giorno degli esami di ammissione, capivo che non sarebbe stato possibile vincere la borsa di studio dal primo tentativo, ma al tempo stesso non avevo proprio voglia di cercare un'alternativa. Il primo tentativo non andò a buon fine ovviamente e decisi di darmi un'altra possibilità nonostante tanti scoraggiamenti "della brava gente": "te lo avevamo detto!" "Hai la testa fra le nuvole!" "Poniti degli obiettivi realistici!" Così tutto l'anno 2001 fu dedicato alla rilettura dei brani classici di letteratura russa, allo studio di grammatica italiana, ore e ore trascorse alla biblioteca di letterature straniere. Ora che siamo passati all'era virtuale, molti libri si possono scaricare gratuitamente da internet, all'epoca si studiava "su carta", non avevo neanche un pc in casa. Non è stato sicuramente tempo sprecato: nel 2002 finalmente il mio sogno professionale divenne la realtà e vinsi la borsa di studio presso il dipartimento di italianistica del MGU.
Gli anni universitari furono ricchi di vari eventi e avvenimenti, conoscenze con varie persone di talento. Numerosi film visti al cinema, spettacoli teatrali, visite guidate alle città vicine a Mosca. I primi stage, la gioia dovuta ai complimenti delle persone a cui traduci, i primi guadagni.
Una volta, durante uno degli stage studenteschi obbligatori, era un giorno di Pasqua Ortodossa e dovevo fare da interprete durante una visita guidata al MGU ai professori e agli studenti dell'Università di Palermo. Quel giorno tra i turisti c'era una persona a cui rimasi poi legata per molti anni, pensammo pure di sposarci.. Sono ancora grata a lui e alla sua famiglia che mi hanno supportato molto proprio nei giorni in cui perdi per sempre le persone più care. Sarebbe impossibile contare tutte le ore che abbiamo trascorso al telefono.
Dal 2004 pur essendo ancora studentessa partecipavo a numerosissimi progetti di interpretariato, a volte dovevo saltare le lezioni per avvicinarmi di più al mestiere che ho scelto, per guadagnare qualcosa in più.. Alla fine dell'ultimo anno dell'Università il mio curriculum era così lungo e variegato che dopo la discussione della tesi di laurea non dovetti aspettare nemmeno un giorno per andare a lavorare. Qualche mese prima avevo già superato un colloquio ed ero stata assunta da un'azienda internazionale specializzata in attrezzature mediche. I datori di lavoro mi scelsero subito però mi diedero la possibilità di finire uno stage alla "Sapienza" di Roma. A giugno 2007 iniziò la mia vita "in ufficio". La scrivania nuova e comoda, ottima squadra di colleghi, l'inglese medico praticato ogni giorno per telefono, ottimo stipendio per un neolaureato (all'epoca guadagnavo il doppio rispetto a mia zia che faceva la capo contabile dell'amministrazione regionale), decente pacchetto sociale, pranzi prepagati, feste aziendali, fiere e conferenze mediche. In generale mi piaceva tutto, non mi potevo lamentare, ma ogni giorno andavo a lavorare sapendo che oggi avrei fatto le stesse cose del giorno prima, ogni giorno uguale all’altro, non sorridevo più. Il lavoro in quanto tale non era neanche difficile, ma verso la fine della giornata ero sempre distrutta moralmente e fisicamente e avevo bisogno di una svolta. E così, dopo un anno e mezzo, decisi di dire addio alla routine quotidiana e mi misi in proprio, senza temere la forte crisi economica in Russia che si registrava da ottobre del 2008.
Il lavoro di interprete mi ha fatto conoscere di persona molti personaggi del mondo dello spettacolo, politici e imprenditori, medici e ingegneri, cuochi e sommelier, architetti e psicanalisti. A volte capita di tradurre ad una festa di matrimonio, il giorno dopo in un tribunale a tradurre le sentenze dei giudici, o con un camice bianco a tradurre durante un intervento medico. È un mestiere che richiede un costante aggiornamento professionale, la capacità di saper comunicare con persone di ceti sociali diversi, di sperimentare, di mettersi sempre alla prova, di rischiare di non essere "all'altezza", di dire un "lapsus" in diretta. Concordo pienamente con un mio collega che sostiene che la felicità nell'ambito professionale consiste nel guadagnarsi da mangiare facendo le cose che si è sempre sognato sin da bambini.